Oggi è stata la giornata del pippone di Gino Cecchettin che
ha parlato da Fazio ieri sera. In mattinata Cruciani ha postato su X un
estratto del discorso dove il Gino ci spiega che “patriarcato significa che c’è
un concetto di possesso” e che “la donna è vista come proprietà di un altro”, e
che nel quotidiano dobbiamo smettere di dire cose come “la mia donna”. Il messaggio
che cercano di infilarci a martellate nella testa è semplice, Giulia è morta
per colpa del patriarcato e tutti gli uomini sono colpevoli. Dall’iniziale
scomparsa di Giulia è passato esattamente un mese, era l’11 Novembre e da allora
ne sono successe di ogni. Manifestazioni in piazza con assalto alla sede
pro-vita, discutibilissimi sbrodolamenti sui vari social network di ogni
singolo attivista dello stivale, la discussissima presentazione del libro della
nonna della vittima, i discorsi sul patriarcato e “la società dello stupro” di
Elena, la sorella. E poi Gino, protagonista assoluto, che oltre al già citato
discorso ne ha tenuto uno al funerale che è stato (o sarà?) letto in tutte le
scuole d’Italia, gente che scavando nel web ha sostenuto di aver trovato vecchi
post, sempre del Gino, in cui fa esternazioni su tacchi a spillo e calze a rete,
articoli di smentita degli stessi post in cui si parla di profili hackerati,
minacce, querele, insulti ed in ultimo, ma non per importanza, la già inflazionatissima
istruzione sentimentale, che nel giro di 4 settimane è diventata già imprescindibile,
con il ministro Valditara che doveva mettere un’attivista LGBT, la Concia, ed
una suora a garanti della stessa, costretto ad un “passo indietro” e chissà
quante altre storie incredibili che mi sono perso strada facendo. Se non è
questo un quadro assurdo Io non so davvero immaginare quale possa definirsi
tale. Un’ondata di follia ha travolto il paese, eppure si respira
inspiegabilmente quasi un’aria di normalità quando è palese e cristallino che
normale, la situazione, non lo è proprio per niente. Mi sembra che il paese sia
seriamente sull’orlo di una crisi di nervi, altroché.
Non sono dell’opinione che viviamo in una società patriarcale
né tantomeno che gli uomini siano, come gruppo, responsabili della totalità dei
femminicidi italiani, occidentali o mondiali. La dimostrazione è molto
semplice, Io sono un uomo, non ho ucciso nessuno, ergo gli uomini come gruppo
non sono colpevoli perché Io ne faccio parte. Ma supponiamo per un momento che
sia vero, cioè che tutti gli uomini siano colpevoli di quanto succede, anche se
chiaramente non è così, ma facciamo finta per un attimo. Quindi? Che ce ne
facciamo di questa conclusione? Vogliamo incarcerare tutti gli uomini? Vogliamo
far pagare una tassa agli uomini per essere nati tali? O stiamo solo parlando
per dare aria alla bocca? A queste ed altre simili domande, il femminismo,
compatto, non risponde. E non ci resta che supporre e riflettere, riflettere e
supporre. Quindi diciamo che la tesi che fonda l’odierna discussione è falsa ma
che anche se fosse vera, sarebbe inutile. Non proprio una discussione degna di
essere tenuta, no?
Purtroppo questa narrativa non è affatto nuova, è anzi uno
schema ben rodato utilizzato tante volte nel passato e con risvolti spesso molto
poco piacevoli. Io spero che suoni qualche campanella nella mente delle persone
senza che io le debba necessariamente imboccare. È palese, no? Prendi un gruppo
di persone, le colpevolizzi di tutti i mali della società, metti gli uni contro
gli altri fino a che i primi non sono così spaventati che a malapena rispondono
più alle accuse per paura di terribili ritorsioni, fisiche ma non solo, si
rischia di perdere il lavoro, la famiglia, gli amici. Ogni volta che si prende
di mira un gruppo di persone nella sua interezza si finisce con il fare il
gioco di qualche dittatorucolo in erba che prima o poi sarà in grado di
prendere la palla al balzo e fare un po' di pulizia tra i “colpevoli” di turno.
Ora non sto dicendo che c’è uno scopo politico preciso dietro questa propaganda
ultra femminista, sto dicendo che bisognerebbe stare attenti a sostenere tesi
che potrebbero essere sfruttate da qualcuno che potrebbe abusare della
situazione venutasi a creare. E sto dicendo che discriminare un intero gruppo
di persone in base alla razza, alla religione o, come in questo caso, al sesso,
è una tattica disumana, indegna e che tutti dovremmo rifiutare con ogni molecola
del nostro corpo. Sto dicendo che quando qualcuno si mette a fare questo tipo
di propaganda dovremmo zittirlo subito e non perché siamo fascisti, come vuole
la narrativa moderna, ma perché il fascismo lo vogliamo prevenire. Perché il
fascismo, caro mio, non sta a destra o a sinistra, sta nella volontà di
qualcuno di sottomettere ed umiliare qualcun altro.
Ah già, settimana scorsa c’è stato pure il tizio che ha
urlato “Viva l’Italia antifascista” alla prima della Scala ed è stato segnalato.
Vedi che me ne vengono in mente altre scrivendo… Un parapiglia! Chi postava a
destra, chi urlava a sinistra, chi gesticolava sopra, chi sotto e che sarà mai!
Innanzitutto proporrei che qualcuno il prossimo anno urlasse “viva la pasta al
sugo!”. Scommettiamo che segnalano pure lui? Non è il contenuto della frase che
infastidisce, è che alla prima della Scala non si urla. Voglio dire, in
generale da nessuna parte si urla ma tantomeno alla prima della Scala. Se vai in
Chiesa, domenica prossima e urli “viva la nonna Pina!”, che pensi succederà? Che
si gira la vecchietta in ultima fila e ti chiede di far silenzio, se ti va
bene, se ti va male il prete chiama i carabinieri e va a finire grossomodo come
alla Scala. In secondo luogo, che volete sentirvi dire? Che siete coraggiosi a
combattere il fascismo che non c’è? Che siete dei grandi uomini? La destra
italiana non si è nemmeno scomposta, il tipo è stato segnalato e nessuno ne ha
più parlato, a destra. A sinistra, invece, apriti cielo! Interviste, giornali,
telegiornali, mancavano le parate con la fanfara, e suvvia.
E insomma, mentre assistiamo tristemente alla visione della
nostra cara madrepatria che piange un passato tanto remoto da apparire un
miraggio ed augurando a tutti un futuro più luminoso di così, non che ci voglia
gran che, permettimi di mandarti
Un saluto.
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